1.
PELE' (BRA)
In una parola, il calcio. Da sessant’anni ambasciatore
universalmente riconosciuto del football in ogni angolo del Pianeta. Tre
Mondiali vinti: il primo neanche diciottenne, ragazzo prodigio nella prima
agognata vittoria brasiliana, il secondo da comprimario forzato causa
infortunio nel girone eliminatorio. Il terzo da leader indiscusso nel trionfo
che chiude idealmente un’epoca, consegnando definitivamente nelle mani dei
brasiliani la Coppa Rimet. Vagonate di goal nel Santos (2 Copa Libertadores, 2 Coppe
Intercontinentali), poi gli ultimi sprazzi di carriera negli USA, a mostrare in un terreno vergine quali
mirabilie si possano fare con una palla tra i piedi. Qualche rimpianto a
posteriori per non essersi misurato, a livello di club, nel calcio europeo.
2.
DIEGO ARMANDO MARADONA (ARG)
Se Pelé è il volto pienamente spendibile del football, Maradona é il figlio scapestrato, o se vogliamo, la sua anima nera. Eccessi, intrighi, cadute e redenzioni: questo è il “Pibe de Oro”, un figlio del sottoproletariato, più basso della media, più brutto della media, issato dal pallone a eroe mondiale, per poi essere cacciato con ignominia dal Tempio. Un Mondiale vinto praticamente da solo (Pelé ne vince 3, ma al fianco ha dei veri fuoriclasse), un altro perso in finale: e poi USA ’94…quella squalifica per cocaina con un’Argentina che pareva inarrestabile. Talento precocissimo, a sedici anni é già in Nazionale, a venti ha già vinto 2 Palloni d’Oro sudamericani. Nel frattempo ci sono i Mondiali ’78 in Argentina: il C.T. Menotti lo lascia a casa, ci sono equilibri di spogliatoio da preservare, e la vittoria finale gli dà ragione. Nell’82 arriva in Europa, al Barcellona: pessima scelta, un difensore basco gli sbriciola una caviglia. Riparte dal Napoli, piazza digiuna di vittorie, e sono anni indimenticabili: due Scudetti, una Coppa Italia e una Coppa UEFA. Anni vissuti pericolosamente, però: la squalifica per cocaina del marzo ’91 segna di fatto la fine (con l’unica parentesi dei Mondiali americani) della sua carriera, a neanche trentun’anni.
Se Pelé è il volto pienamente spendibile del football, Maradona é il figlio scapestrato, o se vogliamo, la sua anima nera. Eccessi, intrighi, cadute e redenzioni: questo è il “Pibe de Oro”, un figlio del sottoproletariato, più basso della media, più brutto della media, issato dal pallone a eroe mondiale, per poi essere cacciato con ignominia dal Tempio. Un Mondiale vinto praticamente da solo (Pelé ne vince 3, ma al fianco ha dei veri fuoriclasse), un altro perso in finale: e poi USA ’94…quella squalifica per cocaina con un’Argentina che pareva inarrestabile. Talento precocissimo, a sedici anni é già in Nazionale, a venti ha già vinto 2 Palloni d’Oro sudamericani. Nel frattempo ci sono i Mondiali ’78 in Argentina: il C.T. Menotti lo lascia a casa, ci sono equilibri di spogliatoio da preservare, e la vittoria finale gli dà ragione. Nell’82 arriva in Europa, al Barcellona: pessima scelta, un difensore basco gli sbriciola una caviglia. Riparte dal Napoli, piazza digiuna di vittorie, e sono anni indimenticabili: due Scudetti, una Coppa Italia e una Coppa UEFA. Anni vissuti pericolosamente, però: la squalifica per cocaina del marzo ’91 segna di fatto la fine (con l’unica parentesi dei Mondiali americani) della sua carriera, a neanche trentun’anni.
3.
LIONEL MESSI (ARG)
Di Maradona il passaporto e la taglia small, di Pelé il fair
play e l’attitudine a piacere a tutti, avversari e famiglie comprese. La
domanda sorge spontanea a ogni Pallone d’Oro che finisce nelle sue mani (sono
già 5, e ha solo 28 anni): è lui il più grande? In effetti, a livello di club
ha già vinto abbondantemente più dei due rivali più agguerriti: 4 Champions
League, 3 Mondiali per club, 7 Campionati spagnoli. Con l’Argentina un oro
olimpico e una finale mondiale persa. Manca il Mondiale quindi, per l’incoronazione?
Probabile: le tante Champions, che pure hanno un valore tecnico forse
superiore, non bastano a eguagliare l’impatto, anche emotivo e iconografico, che Pelé e Maradona hanno
avuto sulla storia del calcio: alla “Pulce” resta, ragionevolmente, il Campionato
del Mondo del 2018 per mettere d’accordo tutti.
4.
JOHAN CRUJIFF (OLA)
Il più grande calciatore europeo, che del Vecchio Continente
eredita la vocazione illuminista, razionalizzante e innovatrice, e della sua
patria, i Paesi Bassi, l’abilità nei commerci e a far di conto. Il prodotto
migliore di un calcio rivoluzionario, attaccante e regista allo stesso tempo,
suggeritore e finalizzatore a seconda delle necessità. L’Ajax è la sua casa: la
madre è la lavandaia del club e mantiene a fatica il piccolo Johan dopo la
morte del padre. Con Cruyff e il “calcio totale”, i “Lancieri” passano da club
di secondo piano a dominatori d’Europa: 3 Coppe dei Campioni e 1 Coppa
Intercontinentale. Ma Johan si porta dietro, dall’infanzia stentata, la
passione irrefrenabile per il denaro: sposa la figlia di un miliardario e passa
al Barcellona (1 Campionato spagnolo e 1 Coppa di Spagna), poi vola negli USA,
sempre a peso d’oro. Torna infine all’Ajax, prima di chiudere la carriera con i
rivali del Feyenoord. 3 Palloni d’Oro, non vince niente con la Nazionale, in un periodo in cui gli orange
dominano di fatto la scena mondiale:
perde la finale dei Mondiali del ’74, mentre nel ’78 non risponde alla
convocazione, per motivi mai ben chiariti.
5.
ALFREDO DI STEFANO (ARG/SPA)
Se esiste un
antenato di Cruyff, del suo gioco a tutto campo (e del suo attaccamento alla
pecunia), quello è Alfredo Di Stefano. Giocatore universale, clamorosamente in
anticipo sui tempi, è un autentico zingaro del pallone. Argentino di nascita,
esplode nel River Plate degli anni ’40 per poi approdare, nel convulso periodo del
passaggio al professionismo, ai Milionarios di Bogotà (che, nomen omen, pagavano
molto bene). Infine, dopo una tribolatissima trattativa (aveva firmato anche
per il Barcellona), il Real Madrid. 5 Coppe dei Campioni, 2 Palloni d’Oro, 1
Coppa Intercontinentale, 8 Campionati spagnoli (5 volte capocannoniere), il suo
smisurato palmares a livello di club. A livello di Nazionale, e siamo di fronte
a un assurdo statistico, non disputa mai una partita di un Campionato del
Mondo, pur giocando per 3 Nazionali diverse (Argentina e, da naturalizzato, Colombia
e Spagna).
6.
GARRINCHA (BRA)
Ultimo eroe di un calcio lontano, ingenuo e anarchico, ragazzo fragile e infantile come il suo calcio da campetti di periferia, che continua a frequentare anche quando sarà il calciatore più amato del Brasile dopo Pelé. Un'infanzia nella miseria gli porta in dote un fisico che pare uno scarabocchio, ma le gambe storte e l'andatura claudicante saranno per Garrincha ("passerotto" in portoghese) l'arma letale per rendere totalmente imprevedibile ogni suo movimento. Il Mondiale del '58 è quello che consacra Pelé, ma il suo contributo è fondamentale. Nel '62 non ci sono storie: è lui la stella del bis brasiliano. L'alcool e una cronica incapacità a gestire la notorietà ne segneranno il precoce e straziante declino, umano prima ancora che sportivo.
7.
FRANZ BECKENBAUER (GER)
Il “Kaiser”: soprannome poco fantasioso, ma
straordinariamente azzeccato. La sua immagine col braccio fasciato, nella
mitica semifinale mondiale del ’70, è la rappresentazione ideale del guerriero
mai domo. Il Mondo lo scopre ai Mondiali del ’66 (persi in finale) come grande
centrocampista, il migliore del torneo. Poi arretra in difesa, inventando di
fatto un nuovo ruolo: il libero-regista, ultimo baluardo e allo stesso tempo
primo costruttore di gioco. La vittoria ai Mondiali casalinghi del ’74 e i 2
Palloni d’Oro (unico difensore insieme a Cannavaro ad aver vinto il prestigioso
premio) sono il fiore all’occhiello della carriera. A livello di club, porta il
Bayern Monaco, fino ad allora squadra di secondo piano, alla conquista di 3
Coppe dei Campioni, 1 Coppa Intercontinentale, 1 Coppa delle Coppe e 5
Bundesliga.
8.
MICHEL PLATINI (FRA)
Direttamente dalla Francia, il calciatore più chic che abbia
mai calcato un campo di calcio. Aristocratico, elegante, forbito e graffiante
nel parlare, corre lo stretto necessario ma mette il pallone dove vuole. Le sue
punizioni sono un’opera d’arte: “lo abbiamo comprato per un tozzo di pane e lui
ci ha messo sopra il foie gras” dirà l’Avvocato Agnelli, che stravede per lui.
Rimane in patria fino a 27 anni, in un campionato poco competitivo,
cosicché il passaggio alla Juventus si
rivela traumatico. Primi mesi difficili, poi l’esplosione: 3 Palloni d’Oro
consecutivi, 1 Coppa dei Campioni (nella tragica notte dell’Heysel), 1 Coppa
Intercontinentale, 1 Coppa delle Coppe, 2 Scudetti (3 volte capocannoniere).
Con la Francia, lo storico Europeo in casa dell’84 (primo trofeo per i
transalpini), e 2 semifinali mondiali perse. Smette nell’87, a neanche 32 anni.
9.
FERENC PUSKAS (UNG)
10.
MARCO VAN BASTEN (OLA)
11.
EUSEBIO (POR)
E’ il primo cronologicamente, e certamente il più grande
fuoriclasse africano della storia, essendo originario del Mozambico, allora
colonia portoghese. Lo scontato appellativo di “Pantera nera” ci dice molto
della sua agilità felina, delle sue accelerazioni felpate ma inarrestabili.
Numero 10 ma attaccante a tutti gli effetti, é una riserva quando il Benfica
vince la Coppa dei Campioni nel ’61, ma la vittoria dell’anno successivo è
tutta roba sua. Perde altre 3 finali di Coppa dei Campioni, nel ’65 conquista
il Pallone d’Oro, ma l’apice della carriera è forse ai Mondiali del ’66, quando
vince il titolo di capocannoniere e guida i lusitani (alla prima partecipazione
iridata) alle semifinali, dopo aver eliminato il Brasile di Pelé.
12.
GERD MULLER (GER)
Avete
presente la barzelletta “C’è un tedesco, un italiano…”? Scordatevela. Moro,
tracagnotto, astuto come una volpe, é
tutto quello che non ti aspetteresti da un teutonico. Centravanti d’area
per antonomasia, progenitore dei Paolo Rossi e dei Pippo Inzaghi, é
l’infallibile terminale offensivo della Germania e del Bayern Monaco targati
Beckenbauer.
13.
BOBBY CHARLTON (ENG)
L’uomo che visse due volte. E’ una giovane promessa quando nel ‘58 il suo Manchester United viene decimato da un incidente aereo, di ritorno da una partita di Coppa dei Campioni. Si salva, e con lui l’allenatore Matt Busby, che vede in Bobby la prima pietra per la ricostruzione. Ci ha visto giusto: Charlton è un trequartista completo, che aiuta il centrocampo ma conclude a rete con una precisione da centravanti. Nel ’66 è il leader indiscusso dell’Inghilterra che vince i Mondiali casalinghi. Con lo United 3 campionati inglesi, 1 Coppa d’Inghilterra, ma manca qualcosa. Quel qualcosa accade nel ’68: Bobby, ormai ultra-trentenne e colpito da incipiente calvizie, conquista la Coppa dei Campioni, a 10 anni esatti dalla disgrazia che costò la vita a tanti suoi compagni.
15.
CRISTIANO RONALDO (POR)
16.
ZICO (BRA)
Il più
grande numero 10 brasiliano dopo Pelé. Esile e leggero, ma dotato di un tiro
eccezionale (le sue punizioni sono pressoché infallibili), ha la sfortuna di
stringere poco quanto a vittorie internazionali. Gli unici allori, infatti,
sono legati al Flamengo, con cui vince 1 Copa Libertadores e 1 Coppa
Intercontinentale. Tardivo il suo arrivo in Europa (a 31 anni), nella piccola
Udinese, che non ha certo i mezzi per costruirgli intorno uno squadrone. Ancora
più sfortunato in Nazionale: nel ’78 il Brasile arriva terzo, nell’82 viene
eliminato (da stra-favorito) dall’Italia, nell’86 esce nei quarti di finale ai
rigori (dopo un errore dal dischetto dello stesso Zico nei tempi
regolamentari).
17.
GIUSEPPE MEAZZA (ITA)
Probabilmente
il più grande fuoriclasse dell’Anteguerra. Certamente il più titolato: 2 Campionati
del Mondo e 2 Coppe Internazionali (sorta di Campionati Europei ante-litteram).
Attaccante di tecnica sopraffina, letale nonostante la taglia ridotta, nei due
tornei iridati viene arretrato sulla trequarti, per far posto a due centravanti
di maggiore stazza come Schiavio e Piola. Straordinariamente precoce, gioca per
tutte e tre le grandi del calcio italiano, ma il suo cuore batte per l’Inter,
nella quale è già una stella a 17 anni e con cui vince 2 Scudetti e 1 Coppa
Italia (3 volte capocannpniere). Un misterioso infortunio, il cosiddetto “piede
gelato” (forse un’embolia), ne segna a 28 anni il prematuro e inaspettato
declino.
18.
GIANNI RIVERA (ITA)
Figura simbolo dell’Italia, non solo calcistica, degli anni ’60, percorre tutte le tappe di un decennio semplicemente convulso. Dai disastri del Mondiale cileno del ’62, alla prima vittoria di un club italiano in Coppa dei Campioni (Milan, anno 1963), dalla Caporetto con la Corea ai Mondiali del ’66, alla prima vittoria dell’Italia agli Europei (1968, anche se Rivera salta la finale). Fino ai Mondiali del ’70, alla mitica semifinale con la Germania (suo il goal del 4-3), e alla clamorosa esclusione dalla Finale. Numero 10 di straordinaria classe ed eleganza, gli viene a lungo rimproverata una certa abulia e uno scarso dinamismo, polemiche che vanno stemperandosi di fronte a un palmares sontuoso, soprattutto con il Milan: 2 Coppe dei Campioni, 1 Coppa Intercontinentale, 2 Coppe delle Coppe, 3 Scudetti (una volta capocannoniere) e 4 Coppe Italia.
19.
LOTHAR MATTHAEUS (GER)
Fulgido
rappresentante del calcio teutonico, potente, tenace e carismatico. Centrocampista
versatile, ha il goal nel sangue ma gioca in ogni zona del campo (nella finale
mondiale dell’86 marca a uomo Maradona!), tanto da terminare la carriera nelle
vesti di libero. Infinita la sua carriera: debutta in Nazionale nell’80 e vi
gioca l’ultimo match nel 2000. Campione del Mondo nel ’90 (Pallone d’Oro nello
stesso anno) e Campione d’Europa nell’80, a livello di club vince 1 Coppa UEFA
e 7 campionati tedeschi con il Bayern, e 1 Scudetto con l’Inter.
20.
STANLEY MATTHEWS (ENG)
Sir Stanley Matthews, please. Esordisce in Nazionale nel '34 e si impossessa della fascia destra per 23 lunghissimi anni. Giocatore dalla correttezza esemplare, non vince praticamente nulla, se non una Coppa d'Inghilterra, con il suo piccolo e amato Blackpool, e il primo Pallone d'Oro, datato 1956, vero e proprio Oscar alla carriera.
21.
ZINEDINE ZIDANE (FRA)
E’ riuscito là
dove ha fallito Platini: portare la Francia al titolo mondiale. Pallone d’Oro
in quel magico anno (1998), con i “Bleus” vince anche un Europeo e sfiora il
bis iridato perdendo la finale del 2006, quella della celeberrima testata a
Materazzi. Grande il suo palmares anche a livello di club: 1 Champions League
con il Real Madrid, 2 Coppe Intercontinentali (1 con la Juve, 1 con il Real), 2
Scudetti e 1 campionato spagnolo.
23.
LEANDRO ANDRADE (URU)
“La Maravilla Negra”, il primo fuoriclasse di colore della storia del calcio. E’ un mediano destro, ruolo ora scomparso e assimilabile all’esterno difensivo di oggi: ruolo il più delle volte occupato da tignosi gregari, ma interpretato da Andrade con un’eleganza sublime. E’ lui la vera stella del decennio d’oro del calcio uruguaiano: 2 Olimpiadi (’24 e ’28), 3 Copa America e l’apoteosi nel ’30, con la vittoria nella prima edizione di un Campionato del Mondo. Gran viveur, si dice che durante le Olimpiadi di Parigi conosca e si innamori di Josephine Baker: muore a 56 anni in condizioni di indigenza, cieco e alcolizzato.
Le sue treccine rasta e il suo approccio scanzonato ne hanno fatto un’icona degli anni ’80. C’è molto di più, però: un giocatore potente e tecnico, duttile come calcio olandese comanda (trequartista, esterno, attaccante, addirittura libero), grande leader in campo. Pallone d’Oro nell’87 e Campione Europeo nell’88, con il Milan vince 2 Coppe dei Campioni, 2 Coppe Intercontinentali e 3 Scudetti.
26.
JUAN ALBERTO SCHIAFFINO (URU)
Uno dei più grandi registi di tutti i tempi, dotato di una
capacità di lettura del gioco semplicemente straordinaria. E’ la star (anzi, l’unico
campione), dell’Uruguay che strappa clamorosamente il titolo mondiale al
Brasile nel ’50 (Schiaffino segna il goal del pareggio e fornisce l’assist del
goal vittoria). Passa al Milan nel ’54, conquistando 3 Scudetti e nel ’60 alla
Roma (1 Coppa delle Fiere).
27.
DIDI' (BRA)
E’ il regista, il grande tessitore di gioco del Brasile di
Pelé, Campione del Mondo ’58 e ’62. Non particolarmente dinamico, ma dotato di
tecnica sopraffina, è celeberrimo per le sue infallibili punizioni “a foglia
morta”, che vantano numerosissimi tentativi di imitazione. Una fugace, e
deludente, esperienza europea nel Real Madrid.
28.
KARL-HEINZ RUMMENIGGE (GER)
Attaccante velocissimo e di straripante potenza muscolare, amava partire da lontano per far valere la sua progressione devastante e calciare in corsa. Erede, pur con caratteristiche completamente diverse, di Gerd Muller sia nella Germania che nel Bayern Monaco, vince 2 Palloni d’Oro (’80 e ’81). Con la Germania, un Campionato Europeo e 2 Finali Mondiali perse (’82 e ’86), con il Bayern, 2 Coppe dei Campioni, 1 Coppa Intercontinentale, 2 Bundesliga e 2 Coppe di Germania.
29.
PAOLO MALDINI (ITA)
Autentico highlander del calcio mondiale, veste la casacca
del Milan per 25 stagioni, condite da trionfi in serie: 5 Coppe dei Campioni (o
Champions League che dir si voglia), 2 Coppe Intercontinentali, 1 Mondiale per
club, 7 Scudetti, 1 Coppa Italia. Straordinario terzino sinistro sebbene destro
di piede, il grande fisico e la pulizia negli interventi lo portano nella
seconda parte della carriera a eccellere come difensore centrale. Solo
rimpianti con la Nazionale: la semifinale a Italia ’90, la finale mondiale
persa ai rigori nel ’94, gli Europei del 2000 persi ai supplementari e infine,
l’eliminazione nel 2002 per mano della Corea e dell’ineffabile arbitro Moreno.
30. GEORGE BEST (NIR)
Il "Ragno Nero", figura leggendaria che affonda il suo mito nelle nebbie della Guerra Fredda e in una fisicità imponente che gli conferiva un'aura di invincibilità ineguagliabile. Unico portiere ad aver vinto il Pallone d'Oro (1963), deve la sua notorietà internazionale all'U.R.S.S., con cui vince un'Olimpiade, un Campionato Europeo e raggiunge le semifinali ai Mondiali del 1966.
32. ROBERTO CARLOS (BRA)
Terzino sinistro devastante nelle proiezioni offensive, dotato di un tiro su punizione micidiale. Campione del Mondo nel 2002, finalista nel ’98, vince anche 2 Copa America. Inspiegabilmente bocciato dall’Inter in gioventù (una cantonata che ha fatto epoca), nel Real Madrid vince 3 Coppe dei Campioni, 2 Coppe Intercontinentali e 4 campionati spagnoli.
33. MATHIAS SINDELAR (AUT)
34. FRANCISCO GENTO (SPA)
La grandezza del calciatore Sindelar è presto detta: centravanti della grande Austria anni ’30, miglior giocatore europeo dell’ante-guerra dopo Meazza. La grandezza dell’uomo sta negli ultimi anni di vita, spesi nell’Austria annessa al Terzo Reich. Nel non vestire la maglia della Germania, nel salutare il vecchio presidente ebreo del suo club e non i gerarchi nazisti, nel morire, ebreo anch’egli, a 35 anni, forse suicida, forse assassinato, non certo per un incidente domestico come scritto nella versione ufficiale.
34. FRANCISCO GENTO (SPA)
L'anima spagnola dell'invincibile Real Madrid degli anni '50, popolato di stelle straniere come Di Stefano, Puskas e Kopa. Ala sinistra di velocità supersonica, straordinariamente longevo, vanta un palmares (6 Coppe dei Campioni, 12 campionati spagnoli) difficilmente eguagliabile.
Da ragazzino guascone a grande saggio. In mezzo, 20 anni di calcio italiano, gli inizi nel Parma di Tanzi, i primi scudetti nella Juve di Lippi, un Mondiale vinto da protagonista, Calciopoli, la Serie B e la resurrezione. Un monumento.
36.
JOSE' MANUEL MORENO (ARG)
Chi lo visto giocare giura che fosse meglio di Maradona. Con
il “Pibe de Oro” ha certamente in comune la vita sregolata: le peggiori bettole di Buenos Aires sono il suo habitat naturale, il tango fino all’alba
il suo allenamento personalizzato (“i movimenti di bacino mi aiutano nei
dribbling”). Poco noto in Europa, è un trequartista di grande tecnica e inusuale potenza fisica, protagonista
dell’epopea del River Plate anni ’40, la celebra “Maquina” (5 campionati argentini).
Con l’Argentina vince 3 Copa America.
37.
BOBBY MOORE (ENG)
Difensore
centrale di precisione chirurgica (celebri i suoi tackle), e doti tecniche eccellenti,
è il capitano dell’Inghilterra che trionfa a Wembley nel Mondiale del ’66. In
totale sono 3 le Coppe del Mondo cui prende parte. Con il suo West Ham, 1 Coppa
delle Coppe e 1 Coppa d’Inghilterra.
38.
LUIS SUAREZ (SPA)
Regista classico, dotato di un chirurgico lancio a lunga
gittata, divide la carriera fra Barcellona e Inter, sempre nel nome di Helenio
Herrera, suo autentico mentore. Con gli spagnoli vince 2 Coppe delle Fiere e 2
campionati spagnoli (oltre al Pallone d’Oro nel ’70), con i nerazzurri 2 Coppe
dei Campioni, 2 Coppe Intercontinentali e 3 Scudetti. Con la Spagna vince l’Europeo
del ’64.
39.
GIACINTO FACCHETTI (ITA)
Atleta di straordinaria eleganza, dall’incedere regale e di
correttezza esemplare. Su di lui Helenio Herrera cuce su misura un nuovo ruolo
poi divenuto di uso comune, il difensore con licenza di attaccare, mirabilmente
riassunto nella locuzione “terzino fluidificante”. Una vita all’Inter, vince 2
Coppe dei Campioni, 2 Coppe Intercontinentali, 4 Scudetti e 1 Coppa Italia. Con
la Nazionale (94 presenze), è Campione d’Europa nel’68 e vice-campione del
Mondo nel ’70.
40.
ROBERTO BAGGIO (ITA)
Uno dei calciatori più amati di sempre. Amato perché ha
fatto dei suoi limiti i suoi punti di
forza. Esile e bersagliato dagli infortuni sin dall’adolescenza, ha portato in
giro la sua fragilità fisica e la sua classe cristallina in un calcio, quello
degli anni ’80 e ’90, dominato dai muscoli e dalle tattica esasperata. Non si é
mai legato a un club in particolare, persino con la Nazionale ha avuto un
rapporto tormentato: ricavandone così meno vittorie di quanto meritava, ma
assurgendo a patrimonio universale, al di là delle bandiere e delle rivalità.
Talento, sempre e solo talento, dal primo all’ultimo giorno.
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