martedì 17 novembre 2015

I TEMPLI DEL CICLISMO




1.     MONT VENTOUX

    A metà del XIV secolo Francesco Petrarca, durante la sua residenza ad Avignone, scrive “Ascesa al Monte Ventoso”. Seicento anni dopo, “Il Gigante della Provenza” diventa una salita simbolo del Tour de France, ma nulla è cambiato, “la mole del monte, tutta sassi, é assai scoscesa e quasi inaccessibile”. E poi il caldo asfissiante, le raffiche di maestrale che ti travolgono negli ultimi, spettrali 6 chilometri, dove sparisce ogni forma di vegetazione e i corridori sembrano tanti astronauti che passeggiano sul suolo lunare. Una salita scoperta dal Tour nel ’51 e divenuta maledetta nel ’67, quando a un paio di chilometri dalla vetta collassò e morì Tommy Simpson. Una salita che ancora oggi, nel ciclismo ipertecnologico, segna lo spartiacque tra campioni e comprimari, come testimonia la spettacolare vittoria di Chris Froome nel 2013.


2.     COL DU TOURMALET
  
   La più celebre delle salite pirenaiche, lunghissima ed estenuante seppur non ripidissima, scalata infinite volte ma rarissimamente arrivo di tappa (nel ’74 e 2010). E’ stata introdotta per la prima volta nel 1910, dopo che Alphonse Steinès, collaboratore dell’inventore del Tour, Henry Desgrange, lo percorse in macchina (quando era ancora una mulattiera sterrata), fu travolto da una bufera, proseguì a piedi, si perse, fu dato per morto, finché non diede notizie di sé, via telegrafo da un paesino sul versante opposto, con il laconico comunicato: “Attraversato Tourmalet. Strada Ottima. Perfettamente praticabile”.
  
3.   ALPE D'HUEZ

   Da quarant’anni a questa parte, l’arrivo in salita per antonomasia del Tour. Battezzato nel ’52 da Fausto Coppi nella suo secondo trionfo in terra francese, ricompare negli anni ’70 per non sparire mai più dai palinsesti. Curiosamente soprannominata  “la montagna degli Olandesi”, solitamente poco avvezzi alle salite ma qui vincitori ben 8 volte, é celebre per i suoi 21 tornanti, stracolmi di folla e ciascuno intitolato a un corridore vittorioso sull’Alpe.

  
  4.     TRE CIME DI LAVAREDO

  • Solo quattro chilometri, ma micidiali (costantemente sopra il 10% di pendenza), per arrivare dal Lago di Misurina a guardare in faccia il massiccio più celebre delle Dolomiti. Il Giro d’Italia se ne avvale con parsimonia, ma ogni volta lascia un segno indelebile. Celeberrime le vittorie nella tormenta di Merckx (’68) e Nibali (2013), e quella dello spagnolo Fuente nel ’74, seguito dal giovanissimo Baronchelli che stacca Merckx.

 
5.     COL DU GALIBIER
  
        Una delle vette più alte del Tour de France (2645 metri), lungo e tremendo da entrambi i versanti. Passaggio quasi obbligato per la corsa francese, é stato percorso per la prima volta nel 1911, ma é stato arrivo di tappa solo due volte: nel 2011, nel centenario della prima ascesa, e nel 2013, curiosamente del Giro d’Italia.
   
  
6.     FORESTA DI ARENBERG
   
     Duemilatrecento metri di pietre sconnesse, rese scivolose dall’umidità della foresta. L’emblema della Parigi-Roubaix e di un certo ciclismo naif, é stato in realtà scoperto solo  nel 1968 su imbeccata di Jean Stablinski, grande campione franco-polacco. Minatore in gioventù, segnalò agli organizzatori questa sentiero ad uso della miniere della zona (“sono l’unico che l’ha percorsa sopra e sotto”). E' diventata sin da subito il luogo simbolo della corsa, pur non risultando quasi mai decisiva, trovandosi a un’ottantina di chilometri da Roubaix.



7.     MURO DI GRAMMONT 

   Altrimenti noto come Kapelmuur, é stato per quarant’anni il simbolo del Giro delle Fiandre. Rampa in pavé che dal centro della località di Geraardsbergen raggiunge una chiesetta sovrastante il paese medesimo, misura un chilometro circa, con pendenze nella parte finale che spesso costringono i meno preparati a poggiare il piede a terra. Solitamente collocato a una decina di chilometri dall’arrivo, é stato tolto dal percorso nel 2012.

8.     COL D'IZOARD

    Altro evergreen del Tour, solitamente abbinato al Col de Vars e all’arrivo di Briançon. Affrontato per la prima volta nel ’22, paesaggisticamente straordinario (inconfondibile la sua Casse Deserte), data la vicinanza alla frontiera é stato spesso percorso anche dal Giro d’Italia: da qui passò Coppi nella celeberrima Cuneo-Pinerolo del ’49, forse la più grande impresa del Campionissimo.


9.       PARIGI, CHAMPS ELYSEES

    Ovvero Tour de France, ça va sans dire. Traguardo finale della “Grande Boucle” dal 1975, scenograficamente perfetto con la sua carreggiata imponente e l’Arco di Trionfo sullo sfondo. Nove volte su dieci é teatro di una volata di gruppo, al termine di una sorta di sfilata semi-agonistica stile ultimo giorno di scuola. Salve rare eccezioni: vedi 1989, quando Fignon ci perse il Tour (era una tappa a cronometro) per 8 miseri secondi.
   

10.   PASSO GAVIA

   Salita da ciclismo estremo: tratti in sterrato, maltempo assicurato, respirazione resa difficile dall’altura (si va oltre i 2600 metri). Introdotta al Giro d’Italia nel 1960, é entrata nel mito nel 1988, quando una bufera di neve travolse i corridori (rendendo drammatica la discesa più ancora che la scalata), che arrivarono semi-assiderati a Bormio.



11.   PASSO DELLO STELVIO

    Salita infinita, costante ma non ripidissima, quasi sempre bersagliata dalle intemperie e quindi costantemente a rischio (tanto da essere inserita saltuariamente nel percorso del Giro d’Italia). Arrivo di tappa nel ’75 (quando fu anche traguardo finale della Corsa Rosa) e nel 2012, resta indissolubilmente legato alla vittoria di un Coppi ormai agli sgoccioli del ’53, che sui tornanti dello Stelvio stacca lo svizzero Koblet e conquista il suo ultimo Giro.

12.   PUY DE DOME

    Salita anomala, né Alpi né Pirenei, ma Massicio Centrale, con arrivo in cima a un vulcano. Tremendo negli ultimi chilometri, è celebre per il duello fra Poulidor e Anquetil del ’64. Molto frequentato dal Tour negli anni ’60 e ’70, non è più arrivo di tappa dal 1988.


13.   PASSO DEL MORTIROLO

    Icona del ciclismo moderno, ossessionato dalle pendenze estreme. Strada valtellinese nota solo agli abitanti del luogo, diventa mitica sin dalla sua prima apparizione al Giro, datata 1990. Non lunghissima (12 chilometri, Ventoux, Tourmalet o Stelvio viaggiano sui 20), vanta pendenze terrificanti che non concedono attimi di pausa. Sempre decisiva nell’economia della Corsa Rosa, resta indelebilmente legata alla tappa del ’94, che rivelò al mondo Marco Pantani.
 

14.   MADONNA DEL GHISALLO

   Il Giro di Lombardia, appuntamento clou di fine stagione, ha spesso cambiato traguardo (Milano, Monza, Bergamo, Como, Lecco), ma la scalata a questa montagna che guarda dall’alto entrambi i rami del Lago di Como é da sempre una costante. Salita a strappi, tutto sommato non impossibile, ma onusta di storia: in cima, a una manciata di metri dal santuario, c’è infatti il Museo del Ciclismo, scelta logistica per nulla casuale.
  

15.   PASSO PORDOI

    Immancabile nel tradizionale tappone dolomitico del Giro, ripetutamente Cima Coppi, non é salita impossibile ma l’altitudine e l’aria rarefatta la rendono certamente fra le più ostiche. Incastonato fra i massicci del Sella e della Marmolada, si snoda, nel versante da Canazei, fra un fitto bosco di conifere per poi aprirsi in una vista mozzafiato.



16.   PASSO FEDAIA

   Quattordici chilometri dal versante veneto, di cui 7 sostanzialmente anonimi. Poi tutto si fa magico: il canyon dei Serrai di Sottoguda, due chilometri scavati nella roccia fino alla baita di Malga Ciapela, dove inizia un rettilineo che toglie il fiato. Poi una serie di tornanti micidiali, e infine la pace, il Lago Fedaia, placidamente accovacciato ai piedi della Marmolada.
   

17.   COL D'AUBISQUE

    Il fratellino del Tourmalet, leggermente più facile della più celebre vicino, ma comunque lunghissimo e massacrante. Altra presenza obbligata della “Grande Boucle”, é solitamente l’ultima salita del tappone pirenaico (dopo il Tourmalet) quando la direzione é oraria (di norma con arrivo a Pau), la prima quando la direzione é opposta.

 

18.   POGGIO DI SANREMO

   Ultima asperità della Milano-Sanremo, posta a solo 4 chilometri dall’arrivo. Introdotto nel 1960 per rompere le uova nel paniere ai velocisti, ha per un po’ effettivamente adempiuto allo scopo. Lunghezza e pendenza risultano peraltro abbordabilissime, più selettiva la tortuosa discesa fra i terrazzamenti della “Città dei Fiori”. Ormai anacronistica per il ciclismo moderno (molti sono costretti a frenare sui tornanti in leggera salita), tanto da indurre gli organizzatori a scovare negli anni altre salite.



19.   MONTE BONDONE
  
   8 giugno 1956. Una tormenta spaventosa. Corridori che assaltano i bar in cerca di bevande calde, altri che trovano rifugio e tepore in case private lungo il percorso. La maglia rosa Fornara che va in ipotermia e   viene indotto a ritirarsi dal direttore sportivo (“mi piangeva il cuore a vederlo così”). E su tutti Charly Gaul, che vince il Giro contro ogni pronostico e mette il primo mattone della sua carriera di leggendario scalatore.



20.   COTE DE LA REDOUTE

   La salita più famosa della Liegi-Bastogne-Liegi, la decana delle classiche del ciclismo. Location rivedibile (si costeggia in pratica un’autostrada), misura un chilometro e mezzo circa, con pendenze costantemente sul 10%. Posta a una trentina di chilometri dall’arrivo, raramente decide la corsa: più probabile che separi i carneadi dagli aspiranti vincitori.


21.   MURO DI HUY

   Via crucis, di nome e di fatto. Una rampa di un chilometro circa, che si snoda lungo le Chemin des Chapelles (a bordo strada c’è una serie di cappellette votive) fino alla chiesa di Notre Dame de la Sarte. Un chilometro circa, con pendenze tremende che sfiorano il paranormale nella famigerata “esse” a circa quattrocento metri dalla vetta . Dal 1983 traguardo della Freccia Vallone.




22.   VELODROMO VIGORELLI

      Tempio del ciclismo su pista italiano, dalla storia alquanto travagliata (è stato distrutto durante la Seconda Guerra Mondiale e nel 1985 da una nevicata), ha ospitato 4 edizioni dei Mondiali su pista. Terminato nel ’35 a Milano nei pressi di Corso Sempione, pochi giorni dopo l’inaugurazione Giuseppe Olmo vi ha stabilito il Record dell’Ora, imitato poi da vari atleti tra cui Fausto Coppi nel ’42. E’ stato inoltre più volte traguardo del Giro di Lombardia e dell’ultima tappa del Giro d’Italia.

  


23.   CARREFOUR DE L'ARBRE

    Se la Foresta di Arenberg é il simbolo della Parigi-Roubaix, il Carrefour de l’Arbre è il settore di pavé dove il più delle volte si decide “l’inferno del Nord”. Inconfondibile per gli appassionati la sagoma massiccia dell’albergo posto al termine dei 2,1 terribili chilometri di pietre.




24.   COLMA DI SORMANO

    Nota per i suoi ultimi, spaventosi due chilometri, che raggiungono pendenze da mountain bike (25%!), si trova in linea d’aria a pochi chilometri dal Ghisallo. Introdotta nel percorso del Giro di Lombardia nel 1960, ebbe vita breve (troppi corridori di fatto la faceva a piedi). E’ tornata nel percorso della “Classica delle foglie morte” nel 2012.



25.   KOPPENBERG

      Terrificante muro in pavé del Giro delle Fiandre, corto ma ripidissimo, reso ancora più impervio dal fondo particolarmente sconnesso e da una carreggiata strettissima. Incluso nel percorso negli anni ’70 e ’80, è stato a lungo abbandonato dopo uno spaventoso incidente accaduto nell’87, quando una vettura al seguito della corsa investì il danese Skibby. E’ stato reintrodotto nel 2008, seppur piuttosto lontano dal traguardo.



26.   PASSO SELLA

      Classica salita dolomitica, che da Canazei si snoda in parte sulla medesima strada che porta al Pordoi. Paesaggisticamente meravigliosa, non è difficilissima ma inserita in serie con altre salite limitrofe risulta spesso decisiva nell’economia del Giro d’Italia.



27.   COL DU PEYRESOURDE

      Con Tourmalet, Aubisque e Aspin forma il classico tappone pirenaico del Tour de France. Prima salita quando quest’ultimo si snoda verso ovest, è viceversa l’ultima asperità nelle innumerevoli volte in cui la tappa si è conclusa a Luchon.



28.  VELODROMO DI ROUBAIX

      L’agognato traguardo della Parigi-Roubaix. A volte decisivo se vi si entra in 2 o più concorrenti, a volte una passarella se vi si arriva solitari, a volte tutt’e due le cose (1996, primo, secondo e terzo della stessa squadra, tagliano il traguardo a braccia alzate). Soprattutto, vincitori o sconfitti, vi si giunge sempre, irrimediabilmente, inzuppati di polvere e fango.



29.   MONTE ZONCOLAN

     Salita friulana dalla storia recente (fu introdotta al Giro nel 2003, peraltro dal versante più facile). Pendenze spaventose, a tratti persino superiori al Mortirolo, è talmente dura da imporre andature a passo d’uomo anche ai migliori, così da rendere paradossalmente relativamente contenuti i distacchi al traguardo.



30.   COL DE LA CROIX DE FER

      Salita delle Alpi francesi solitamente abbinata all’Alpe d’Huez e/o al Galibier, ha pendenze modeste ma è resa dura dalla lunghezza spropositata (una trentina di chilometri da entrambi i versanti).
    

31.   COTE DU STOCKEU

      Salita storica della Liegi-Bastogne-Liegi, forse la più difficile del tracciato. Un paio di chilometri, come nella tradizione delle cotes valloni, ma costantemente sui 10% di pendenza. Piuttosto lontana dal traguardo, in cima vi è una stele dedicata a Eddy Merckx.



32.   COL DU SESTRIERE

      Traguardo di tappa del Giro e ben 4 volte del Tour (storiche le vittorie nel ’52 di Coppi e nel ’92 di Chiappucci), è in realtà una salita piuttosto facile, che diventa significativa quando abbinata ad altre ascese più impegnative.



33.   MADONNA DI SAN LUCA

      Breve  salita la cui notorietà è ampiamente superiore alla corsa di cui costituisce l’atto finale, il Giro dell’Emilia. Due chilometri con pendenze tremende (specie nella celebre “curva delle orfanelle”), che costeggiano il porticato che dal centro di Bologna conduce al santuario che domina la città felsinea.


34.   PASSAGE DU GOIS

      Uno degli azzardi più folli della storia del Tour de France. Una strada che può esserci o non esserci, una lingua di asfalto sull’Oceano Atlantico che viene risucchiata dalle acque quando c’è alta marea e riemerge  quando e bassa. Riemerge ovviamente scivolosa come un pavimento appena passato con il detersivo, come ben dimostrato dalla terrificante caduta del Tour ’99. E’ stato riproposto nel 2011: a inizio tappa, giusto per evitare disastri.



35.   CAUBERG

      La più famosa salita olandese (ebbene sì, esistono anche quelle…). Trattasi in realtà di rampetta di neanche un chilometro posta nella località di Valkenburg, cittadina che trasuda ciclismo avendo ospitato ben 5 volte il Campionato del Mondo. Sul Cauberg (posto spesso come traguardo finale) si decide spesso l’Amstel Gold Race, la più importante corsa dei Paesi Bassi.



36.   ALTO DE L'ANGLIRU

      Il Mortirolo spagnolo. Scoperto dalla Vuelta a Espana solo nel ’99, è una salita asturiana di circa 12 chilometri dalle pendenze proibitive nella seconda parte (oltre il 20%), mentre l’arrivo è posto in leggera discesa.

37.   PARIGI, PARCO DEI PRINCIPI


      Stadio parigino ora deputato al calcio e al rugby, è stato il traguardo finale del Tour de France datato 1904 al 1967, sia pur in una veste diversa da quella di oggi: vi era infatti anche un velodromo, che fu abbattauto quando l’impianto fu  ristrutturato nel 1972.



38.   COTE DE SAINT NICHOLAS


     Rampa di circa un chilometro, è da parecchi anni uno dei punti chiave della Liegi-Bastogne-Liegi, collocato com’è a una manciata di chilometri dal traguardo. E’ soprannominata “La cote des Italiens” perché collocata nel quartiere italiano di Liegi.
     

39.   LA CIPRESSA

      Dal 1982 è la penultima asperità della Milano-Sanremo, inserita per fare ciò che il Poggio non riusciva più a fare: ridurre le possibilità di un arrivo in volata. Obiettivo centrato con alterne fortune, anche in ragione di una difficoltà dell’ascesa piuttosto ridotta.



40.   SANREMO, VIA ROMA


    Il traguardo più classico della Milano-Sanremo (dal ’49 all’85, poi dal ’94 al 2007 e infine dal 2015). Rispetto all’altro  arrivo storico di Via Cavallotti è di qualche centinaio di metri più lontano dalla cima del Poggio (il che agevola la soluzione in volata), ma l’impatto scenografico è decisamente migliore.



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